Un’altra volta in compagnia di osteopati che guardano all’avvenire: parla Donatella Bagagiolo, docente SSOI, scuola con sede a Torino.
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Cosa significa per gli osteopati l’attuazione del riconoscimento della loro professione?
Il riconoscimento della figura dell’ osteopata, con l’approvazione della legge 3 del gennaio 2018 e la sua conseguente adozione nella famiglia delle professioni in ambito sanitario, ha prodotto l’avvio di un processo coordinato e sinergico tra attori diversi – Ministero della Salute, MIUR, scuole di Osteopatia e Registro degli Osteopati d’Italia – atto a definirne il profilo: quali conoscenze, competenze, specificità ed abilità devono essere acquisite dall’osteopata?
Il percorso di definizione del Core Competence dell’osteopata diviene necessario e determinante al fine di relazionarsi con le altre figure professionali del sistema sanitario nazionale, nei percorsi terapeutici integrati e per la creazione di un percorso formativo solido, strutturato e conforme agli standard europei della professione osteopatica in Italia.
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Qual è il contributo che le scuole possono dare all’attuazione?
Imprescindibile e fondamentale. La formazione osteopatica, da più di trent’anni, è appannaggio delle scuole, che hanno prodotto percorsi didattici ispirati a quelli dei paesi europei dove l’Osteopatia aveva già ottenuto il riconoscimento da tempo. Le scuole rappresentano l’interlocutore diretto e maggiormente rappresentativo nel rapporto con le istituzioni, per arrivare a definire la figura dell’osteopata in Italia e quali debbano essere i criteri di formazione di base e postgraduate.
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Com’è cambiata la percezione dell’osteopatia in Italia?
Prima forse non c’era neanche una corretta informazione relativa a quali fossero le specifiche competenze e quali fossero i campi di applicazione dell’Osteopatia. Anche grazie al crescente numero di pazienti che spontaneamente si sono rivolti agli osteopati in Italia si verifica ora una sempre maggior propensione da parte di medici di base, ortopedici, fisiatri, pediatri, ginecologi e ostetriche a relazionarsi in modo proattivo con la figura osteopatica, al fine di individuare un percorso terapeutico integrato e condiviso.
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All’estero, laddove ha uno statuto diverso, come viene considerata l’attività degli osteopati?
Nei paesi dove è presente uno statuto diverso, assistiamo a una integrazione effettiva della prestazione osteopatica all’interno dei servizi sanitari sia pubblici sia privati.
Questo ha favorito lo svilupparsi di importanti e fruttuosi rapporti interdisciplinari, che hanno dato avvio a studi sperimentali volti a valutare in che modo la terapia osteopatica possa essere efficace e quali indicazioni abbia come terapia complementare.
Strategicamente ciò si è tradotto nella possibilità per l’osteopata di entrare a far parte degli stakeholders che partecipano alla stesura delle linee guida e dei livelli di raccomandazione.
Solo per portare un esempio tra molti, Steven Vogel, osteopata, Editor in chief della rivista International Journal of Osteopathic Medicine e Deputy Vice-Chancellor (Research) presso l’University College of Osteopathy, ha partecipato alla stesura della Linee Guida NICE sulla lombalgia e sciatica.
Ci auguriamo che anche in Italia, grazie al percorso di regolamentazione della nostra professione, sempre più si possa assistere all’instaurarsi di relazioni interdisciplinari produttive e di alto livello qualitativo, in cui l’osteopatia possa rivestire il ruolo di co-protagonista a tutti gli effetti nella gestione della salute del cittadino.
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Scuole di Osteopatia: patrimonio di sapere ed esperienza da salvaguardare, come farlo?
Le scuole di Osteopatia sono l’Osteopatia. Si sono fatte garanti, in tutti questi anni, della tutela e della corretta trasmissione dei principi della medicina osteopatica. Sono state veicolo nella formazione di professionisti seri, nel rispetto di elevati standard qualitativi. Hanno creato centri di tirocinio in cui gli studenti potessero prepararsi in modo strutturato e competente all’esercizio della professione osteopatica.
Questo importante patrimonio di conoscenze e competenze può e deve essere valorizzato, traducendosi ad esempio nel riconoscimento delle scuole di osteopatia come istituti di formazione privata, sia nel percorso di base che in quelli di specializzazione post-laurea, come tutela della prevista formazione continua in medicina cui tutte le professioni sanitarie sono tenute.
Il corpo docente, avendo i requisiti necessari, dovrebbe poter entrare a pieno titolo presso gli istituti pubblici di formazione osteopatica per occuparsi dell’insegnamento delle materie a carattere specificamente osteopatico.
Chi, se non gli osteopati, dovrebbero insegnare l’osteopatia? Certamente la formazione di laureati in Osteopatia non può divenire una delega a figure sanitarie altre, ad eccezione ovviamente delle materie a carattere medico o delle scienze fondamentali.
In questo modo quello che è stato creato in quasi trent’anni non andrebbe perso o disperso bensì tutelato, riconosciuto e utilizzato per creare percorsi formativi analoghi a quelli dei paesi in cui l’Osteopatia ha un ruolo definito all’interno del contesto sanitario.